Randori
La via dell’Aikido? Una gita col proprio dojo. - Seconda parte
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Tornando al titolo ora mi cimento in un parallelismo fra la pratica dell’Aikido e il percorso di crescita che comporta ed una semplice gitarella quale quella che ho sopra descritto.Lo spirito dovrebbe essere lo stesso.
Lo scopo? A mio avviso anche quello dovrebbe essere lo stesso. Fondamentalmente si dovrebbe insegnare e praticare con il fine di divertirsi, stare bene e far stare bene i propri allievi, come quando si prende parte ad una gita, mantenendo equilibrio e senza porsi al di sopra degli altri. Guadagnare? Appagare la propria ambizione? Gonfiare il proprio ego fregiandosi del fascinoso titolo di Maestro? Pretendere di illuminare la vita delle persone con la propria saggezza?
Sono tutti obiettivi che portano fuori strada e spesso finiscono col disattendere le aspettative degli allievi.
E’ come quando si parte per una gita che ha un programma ben definito e poi invece quando si è in viaggio la guida decide di cambiare il percorso o addirittura la meta. I gitanti ne resteranno delusi. Ma può anche succedere il contrario. A volte si verifica che sia qualche partecipante alla gita che inizia a pretendere di modificare il percorso. “Sì, lo so che dobbiamo andare a XX ma a me interesserebbe vedere anche altro e se passiamo da quest’altra parte possiamo visitare anche XY”.
Quando questa cosa antipatica accade, ovviamente l’organizzatore entra in difficoltà. Immediatamente si creano due partiti, quello dei pro e dei contro la variazione di programma. La discussione inevitabilmente creerà delusione per qualcuno con grande rammarico di chi ha organizzato che elaborando attentamente un programma definito ha quale obiettivo di riportare a casa tutti soddisfatti. La stessa dinamica si innesca anche tutte le volte che un allievo decide che ciò che ha imparato e pensa di poter imparare dal proprio maestro non gli è più sufficiente. Gli viene voglia di cambiare percorso, di uscire dalla comoda autostrada che il suo maestro ha scelto di percorrere insieme guidando il proprio gruppo e decide di dare un’occhiata altrove.
Esce dal percorso, si allontana dal gruppo e in autonomia imbocca una strada laterale che inevitabilmente va da un’altra parte e quasi sempre cerca di farsi accompagnare da qualche amico del dojo.
Questa scelta lo porta certamente a vedere cose diverse da quelle che è abituato a vedere quotidianamente ed in alcuni casi la curiosità potrebbe essere ulteriormente stimolata. In genere finita la breve divagazione, una volta rientrato nel gruppo, il soggetto non vede l’ora di raccontare agli altri le differenze osservate e di mettere a frutto la propria esperienza.
Sapere di aver visto e imparato cose diverse dagli altri risulta molto gratificante, quindi sovente accade che, appena un altro bivio si presenta, la tentazione di staccarsi di nuovo dal gruppo originario torna a farsi viva. Inutile farla lunga, avete già capito la dinamica. Sempre più curiosità, sempre più divagazioni sempre più scostamenti dalla guida originaria, dal gruppo e dal percorso che il maestro aveva programmato.
In genere sono gli allievi più talentuosi o quelli che si presumono tali ad avere questa esigenza di divagare e curiosare. Essendo più dotati maturano anche più in fretta la convinzione che il maestro, che con pazienza e dedizione gli ha fornito le basi e i codici per apprendere anche dagli altri, non abbia più tanto da insegnare loro.
Del resto sono anche quelli che, se realmente dotati e in grado di “rubare la tecnica”, possono effettivamente capitalizzare competenze, anche avendo saltuarie esperienze con altre guide avvicinate in modo sporadico. Cosa è giusto fare quindi? Non abbandonare mai il proprio maestro e procedere con il paraocchi ignorando tutto ciò che esiste di alternativo? Direi di no, è un modo ottuso e riduttivo di concepire il proprio percorso di crescita. E vedendola dalla parte del maestro, che fare? Alzare un muro intorno al proprio dojo vietando la “fuga” dei propri allievi per proteggere quella che si considera una proprietà privata? No questo no, una palese limitazione della libertà sarebbe vissuta sicuramente male dagli allievi.
Penso la cosa giusta da fare sia semplicemente continuare a dare il massimo ai propri allievi. Con professionalità, con passione e soprattutto con sincero amore verso di loro. Questo non eviterà le fughe. Gli elementi dal carattere più autonomo, superbo, presuntuoso, o arrogante con il tempo andranno comunque persi. Voltare le spalle in modo definitivo al proprio maestro senza dire grazie né scusa, è la scelta che garantisce il massimo del movimento e che fa sentire immediatamente di essere arrivati da qualche parte, di non avere più bisogno di lui e in qualche modo di averlo superato. Per fortuna però gli allievi non sono tutti di quella razza, si può sperare che una quota di allievi resti fedelmente nel gruppo e sia numericamente che nella sostanza dal punto di vista tecnico continui a dare consistenza alla scuola.
Se poi chi scalpita inizia ad avere necessità di divagare, di curiosare e di arricchirsi altrove, non resta che accettarlo e benevolmente lasciar fare, nella speranza che dopo tutto l’impegno profuso, la libertà regalata non venga fraintesa per debolezza o noncuranza. Proprio in questa ottica ho sempre lasciato liberi i miei allievi e continuo a farlo anche se, quale conseguenza della mia gestione democratica, pessime esperienze hanno segnato la storia del mio dojo. Gli allievi non si possiedono.
Qualcuno riesce a fare protezionismo convincendoli che fuori dal dojo non c’è nulla di buono. Fa maturare in loro la presunzione di essere, a prescindere, una tacca sopra agli altri, ma alla lunga la realtà emerge sempre.
Se invece del lavoro serio e della passione sincera nell’insegnamento si mettono in campo la seduzione e l’autocompiacimento, prima o poi l’allievo sveglio arriva a trarre le proprie conclusioni e finisce con l’abbandonare il proprio maestro o peggio con l’ interrompere la pratica.
La via dell’Aikido non è altro che una gita. Il Maestro la organizza cercando di renderla più stimolante e più divertente possibile.
Gli allievi vi prendono parte e a grandi linee dovrebbero rispettare l’itinerario, il programma, restando nel gruppo. Poi se qualche “fuga” si verifica occorre avere pazienza, sperare che il fuggiasco rientri. Quando si parte insieme sarebbe bello e giusto arrivare tutti insieme. Credo fermamente che ogni allievo debba avere e riconoscere per sé un solo maestro.
Poi è giusto curiosare, andare ai seminari ed in quelle occasioni spogliarsi dei preconcetti e come un foglio bianco cercare di ricevere l’insegnamento del maestro occasionale.
Tanti sono i maestri da cui si può prendere qualcosa di particolare e di originale ed è giusto farlo e lasciarlo fare, ma la propria origine non andrebbe mai negata e le radici non andrebbero mai strappate dal proprio gruppo di amici e dal proprio dojo e anche se si abbandona la propria guida per trovare una propria strada il legame con la propria genesi dovrebbe sempre restare.
Quando questo processo di crescita e distacco si realizza con rispetto e gratitudine è una bella cosa e un maestro dovrebbe gioire nel vedere qualche proprio allievo ad un certo punto diventare un suo pari e magari superarlo.
2 Giugno 2024
Ugo Montevecchi