Randori
Tempi eroici 3. Spigolature da seminari lontani
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Questa foto non ha importanza perché vi appaia il vostro disumile servitore, quanto per una serie di ricordi che suscita, non palesati finora e forse di limitato interesse per il lettore; ma tant'è: si sa fin di tempi del re Mida che mantenere per sempre il riserbo è una delle imprese più ardue che possa affrontare un essere umano.
Preambolo
I seminari estivi dell'Aikikai d'Italia si tenevano tra luglio e agosto presso il Centro Tecnico Federale della FIGC a Coverciano (Firenze), gentilmente concesso dal dr. Fino Fini, recentemente scomparso. Nell'occasione si tenevano anche una o più riunioni del consiglio di amministrazione, cui partecipavano anche i membri della Direzione Didattica e il sottoscritto, in qualità di segretario nazionale.
Una consulenza di un importante studio finanziario aveva l'anno precedente consigliato l'associazione a non intervenire nella organizzazione dei seminari, per tutta una serie di ragioni, lasciando che se occupassero di volta in volta dei comitati di gestione. I seminari estivi erano da sempre ideati e organizzati da Giorgio Veneri, tra l'altro membro del consiglio e di conseguenza presente a tutte le riunioni. Fermo restando che la gestione era inappuntabile, nella riunione del 1983 il revisore Massimo F. e il sottoscritto sollevarono alcune obiezioni formali, soprattutto dal lato delle entrate: pur essendo le uscite sempre munite delle necessarie “pezze di appoggio” le entrate (ossia le quote di partecipazione) dovevano essere documentate da ricevute numerate, e con l'apposizione di marche da bollo ove si superasse un certo importo, cosa frequente per i gruppi familiari e di dojo. In caso contrario un eventuale controllo avrebbe portato a conseguenze non piacevoli, e non solo per la violazione formale: non documentando le entrate diventava difficile dimostrare che la gestione si chiudeva in pareggio se non in disavanzo.
Ne venne preso atto, con l'impegno da parte di Veneri a provvedere al più presto. Un al più presto che non poteva essere comunque in tempo reale, essendo il seminario già a metà del suo svolgimento (era all'epoca di due settimane). All'apertura della seconda settimana Giorgione Veneri occupava come di consueto il tavolino della ricezione. I maligni sussurravano (strani sussurri udibili fino al centro di Firenze) che non avesse in realtà niente da fare ma rigirasse tra le mani per l'intera settimana lo stesso insignificante pezzo di carta, onde evitare il grave rischio di doversi allenare. Le contro obiezioni e contro proposte del prevenuto, che vanno purtroppo tralasciate non essendo indicate per un pubblico sensibile, erano udibili fino al centro Italia e coinvolgevano svariate generazioni dei calunniatori.
Io stavo là vicino per qualche incombenza, probabilmente lo stralcio dei diplomi dell'Hombu Dojo, argomento su cui torneremo dopo. Al termine stavo riponendo tutto nella cartella e mi rialzavo per salire sul tatami, ovviamente dopo l'assenso dell'insegnante (a quei tempi non era pensabile salire né scendere dal tatami senza autorizzazione). E mi cadde l'occhio sull'entrata, dove stazionavano gli eventuali osservatori non essendo previsto uno spazio apposito all'interno del dojo.
Quello che vidi mi spinse a dare una sadica gomitata a Giorgio (sadica non perché fosse molto forte o impegnasse parte vitali: il perchè lo capirete ben presto). Sollevando il suo sguardo più interrogativamente irritato sollevò il capo dalle sudate carte, nella mia direzione. Io – muto – indicai col dito l'entrata. Vi stazionava impassibile sull'attenti, col cappello d'ordinanza a celarne lo sguardo, stringendo nelle mani gli inevitabili guanti di pelle (ad agosto?) un ufficiale della Guardia di Finanza.
Mi mancò il cuore di farla troppo lunga... rivelai tutto in tempi brevi, per quanto Giorgio dopo avermi presentato il preventivo di come l'avrei scontata mi abbia confessato che gli erano sembrati interminabili. L'ufficiale era nientepopodimeno che un allievo del Dojo Centrale (Stefano P.) che trovandosi in servizio da quelle parti aveva deciso di farci una improvvisata e venire a trovarci.