Randori

La natura "naturale"

Natura00Riflettendo su questa immagine (dal giardino del Ginkakuji di Kyōto) è affiorato sornione l'ennesimo paragone con l'aikido . In occidente ammiriamo l'albero dritto che punta verso il cielo, se devia dal suo percorso lo si considera pericolante e lo si abbatte. Questa diversa concezione del rapporto con la natura accetta il difetto, o per meglio dire la natura, dell'albero; lo lascia crescere come vuole e come deve, eventualmente dandogli supporto. Anche se non cresce nella direzione in cui idealmente dovrebbe tendere.

 

 

 

Natura01Certamente, e giustamente, a questa mia riflessione è stato replicato da alcuni che quello che sembra naturale viene quasi sempre ottenuto in Giappone attraverso interventi umani sulla natura.

E a volte - si direbbe -  ai limiti del sadismo.

Contorcendo a forza essenze che sarebbero cresciute spontaneamente in modo diverso, puntando direttamente verso il cielo..

 

 

 

 

 

 

 

Natura02E basta osservare all'opera un giardiniere giapponese, intento alla sua opera con assoluta concentrazione, curando nei minimi dettagli l'aspetto di un luogo che solo apparentemente appare spontaneo, per rendersene conto.

E' vero.

L'intervento dell'uomo è presente e perfino pervadente  nei giardini giapponesi.

Ma non vuole apparire.

 

 

 

 

 

 

Natura03Non cambia però, o perlomeno non di  molto il discorso di fondo: per imitare la natura o per dare alla propria opera una sembianza naturale, conforme alla natura,  occorre comprendere la natura.

Porsi in armonia con essa.

Ma anche considerare un diverso concetto della "bellezza" o se vogliamo semplicemente del destino delle cose.

Mettere in risalto il percorso, anche tortuoso, delle cose più che non la loro meta finale; detto questo, quello che è bello è bello, qualunque sia la filosofia che vi è celata.

E non mancano certamente in Giappone maestosi alberi secolari, venerati come espressione del sacro.

 

 

 

Natura04Si avverte tuttavia anche rispetto e ammirazione per essenze il cui destino è diverso, il cui cammino è destinato ad essere meno lineare, spesso tortuoso, a volte impervio. Che rinunciano, o vengono  indirizzati a rinunciare, all'aspirazione a puntare dritti verso il cielo.

E la loro presenza viene anzi ritenuta necessaria.

Qualunque ne siano le ragioni è un atteggiamento culturale.

La scarsa tolleranza verso l'imperfezione ha indubbiamente i suoi pregi ma non sempre e non in ogni ambito è consigliabile.

In Giappone spesso deliberatamente vi si rinuncia.

 

 

 

Natura06In quanto a noi... che tipo di alberi siamo?

Possiamo puntare diritti verso il cielo o la nostra natura ci deve portare a considerare, ad accettare, anche vie diverse?

E' lecito ignorare la realtà, negarla, illuderci e illudere di poter mirare direttamente verso le stelle?

Sembra piuttosto più giusto lavorare assieme alla nostra natura innata, anche cercando puntelli. Non contro di essa.

Non essere nati per puntare dritti come fusi verso il cielo, non è un difetto, Non è una afflizione.

E' in realtà una condizione comune a gran parte del genere umano, e che non impedisce di mirare in alto ma semplicemente richiede un percorso diverso e più lungo.

 

Natura05So di essere spietato sottolineando come l'aikido permetta invece di illudersi; troppo spesso ci si appaga di una pratica autogratificante che non ha stabili fondamenta.

D'altra parte nessuna arte umana sfugge a questa regola.

Certo ci potrebbe essere, come in altri contesti, la prova provata dell'agonismo, del confronto diretto. Ma nemmeno quello dice sempre il vero; quanti grandi atleti si sono rivelati persone mediocri?

Quanto a noi... dovremmo trovare e conservare la capacità di migliorare attraverso la pratica ogni aspetto del nostro essere; spesso però crediamo di crescere interiormente attraverso la capacità di ripetere un assieme di gesti tecnici, e viene ritenuto più avanti nella strada chi ne ha assimilati di più.

Non concordo... pur riconoscendo la necessità di curare il bagaglio tecnico e ammirando chi ne ha in abbondanza.

Natura07Non a caso il fondatore ha sempre ritenuto inutili questi metodi: e la risposta ai propri quesiti il praticante di aikido non può e non deve cercarla all'esterno, né la può chiedere ad altri; Secondo me, nemmeno al proprio insegnante

Solo la sensibilità ci può aiutare a trovare risposte ai quesiti della vita; e l'aikido mira appunto a sviluppare la sensibilità dell'individuo.

Purtroppo il praticante troppo spesso rifiuta questa responsabilità: la scelta non solo del percorso, ma anche dell'equipaggiamento, della tempistica, dei punti di verifica, ci si aspetta che debba venire dall'insegnante.

Certamente, a lui compete molto e noi insegnanti non sempre siamo all'altezza del compito, ma il nostro dovere primario dovrebbe essere di creare in chi ci segue non dipendenza ma autonomia di giudizio.

E, soprattutto, di azione.

 

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