Randori
E' ffinta ddi gguerra
Era non pochi anni fa... Lo ricorda in un divertito e divertente articolo apparso su Aikido (Anno XVIII n. 2, novembre 1988 pp. 62-63) un mio ex allievo che prese presto il volo per staccarsi dalle mie amorevoli (più o meno) cure: un gruppo di praticanti dei seminari estivi aikido e natura organizzati in Sardegna da Hosokawa sensei, si trovava ospite di una famiglia di contadini.
Non era un caso: il ritorno alla natura voluto dal maestro significava anche questo. Praticare all'aperto nelle prime ore del mattino per sfuggire alla morsa implacabile del sole, ogni giorno in una località diversa, di fronte al mare o tra sperdute e apparentemente inospitali alture, cercando affannosamente i passi necessari non su un soffice e ben livellato tatami ma tra le zolle riarse, nelle pietraie, tra le spine.
E vivere semplicemente, immersi in una natura semplice e proprio per questo affascinante e maestosa, in località dove il turismo era cosa che si sapeva esistere solo da una attenta e curiosa lettura dei giornali, per quanto imperante e pervadente a pochissimi km di distanza.
Non esistevano alberghi: occorreva trovare sistemazione ma sarebbe più appropriato dire ospitalità presso gli abitanti, e condividere con loro non solamente il tetto ma anche uno stile - e lo stile sappiamo essere ancora più importante della forma - di vita.
Ricorda l'autore, Dionino Giangrande sensei: «Quando sono arrivato, di domenica, sono entrato nella chiesa di Nostra Signora di Tergu. In quelle ore del primo pomeriggio vi era un silenzio incredibile. Per chi come me viene da una grande città [Roma] è un silenzio rumorosissimo, assordante .... nulla di artificiale, qui la tranquillità è tranquillità e basta, nulla a che vedere con la complicatissima tranquillità dei villaggi turistici»
E si viveva assieme a «... gente coerente, stracolma di una lineare saggezza contadina che fa sbiadire d'un colpo i nostri più riusciti sofismi. Qualcuno m'ha detto che una sera, a tavola, ha chiesto al signore di cui era ospite cosa pensasse dell'aikido; lui serissimo "è' ffinta ddi gguerra" gli ha risposto.»
Touché... praticando aikido noi non facciamo altro che giocare; giocare alla guerra.
E la serietà assoluta eppure priva di ogni sospetto di tensione con cui ogni bambino si prepara e si applica al gioco dovrebbe aiutarci a comprendere: l'aikido è serio perché è un gioco. O, se volete, è un gioco perché è serio.
Quindi non mi sono meravigliato più di tanto ieri: avevo dedicato gran parte della preparazione agli esami, tappa obbligata verso la fine di ogni anno accademico, a una loro sdrammatizzazione. Certamente consigliavo di affrontarli, è una verifica di quanto si è fatto, la conferma di quanto è in regola o magari la scoperta di quanto va rivisto con maggiore attenzione, per quanto si credesse in precedenza di avere prestato attenzione a tutto. L'esame quindi deve essere un supporto al proprio cammino, non un ostacolo, e va affrontato giocosamente come affrontiamo o tentiamo di affrontare giocosamente la pratica quotidiana.
Arrivato col consueto anticipo per iniziare a montare il tatami, non ho fatto caso più di tanto al fatto che negli spogliatoi vi fossero già tracce di presenza umana: il dojo è ospite di una scuola, e quello che dimenticano i ragazzi negli spogliatoi potrebbe essere oggetto di una indagine sociologica e potrebbe alimentare allo stesso tempo un buon numero di mercatini dell'usato. Evitata quindi la sorpresa negli spogliatoi l'ho in realtà solo rimandata: nella sala del dojo non solo tutti i tatami erano già regolarmente montati, ma TUTTI gli esaminandi erano già sul tatami stesso, impegnati da chissà quanto tempo a "ripassare". L'avevano presa sul serio... molto sul serio (ove si dimostra che in fin dei conti non hanno preso proprio tutto dal loro insegnante). Come se fosse un gioco!
Ormai è andata. L'esame come avevo ripetuto più volte negli ultimi tempi, è semplicemente una lezione.
Una lezione come tutte le altre in cui però si cerca la migliore concentrazione e si spera di offrire il meglio di sé, e ammetto che non è una differenza trascurabile ma non ammetto che sia fondamentale. Viceversa - molte proprietà sono transitive e nemmeno questa sfugge alla regola - ogni lezione è in realtà un esame. Quella piccola differenza però (e ancora una volta vive la difference!) influisce: raramente nel corso di un esame si riesce a dare il meglio di sè, pur avendo deciso di farlo ed essersi ri-promessi di mantenere l'insana promessa. Ma anche nell'esame quotidiano della lezione non è abituale riuscire a offrire ogni volta il meglio di sé...
Ero quindi mentalmente preparato a ogni sorta di orrori, ma la mia attesa per quanto si siano visti qua e là dei segnali incoraggianti è andata sostanzialmente delusa: l'esame è andato, per tutti, abbastanza bene. E certi indizi di soddisfazione mi è sembrato di coglierli - addirittura! - non in occasione delle tecniche riuscite "bene" ma piuttosto nelle non rarissime ma nemmeno frequenti occasioni in cui ho segnalato qualche incorreggibile errore o qualche errore inedito e nuovo di zecca. Come mai è andata così "bene"? Me lo sono chiesto, e ho tentato di darmi una risposta: perché non l'hanno presa troppo sul serio, come se fosse un gioco, una "ffinta ddi gguerra"...
Il punto è che lo è.
Lo sappiamo "Gli esami non finiscono mai."
Gli esami per il livello dan si tengono nell'Aikikai d'Italia solamente durante dei seminari di perfezionamento aperti anche ad altri dojo, quelli nazionali tenuti dalla Direzione Didattica o quelli tenuti dagli insegnanti abilitati nel mese di giugno. Quindi il nostro piccolo e impertinente dojo si prepara ad altri esami ancora, che si terranno a breve. Che i candidati si facciano onore.
E che si sbrighino!...
E' vero infatti che gli esami non finiscono mai, ma è particolarmente vero per insegnanti ed esaminatori: ogni volta che un candidato si pone in seiza davanti a loro chiedendo di essere giudicato in realtà viene sottoposto a giudizio anche il suo insegnamento, viene valutato anche lui. Se non altro, nella ipotesi che nessuno dei presenti abbia ancora raggiunto il livello necessario per giudicare, da sé stesso. Sbrigatevi quindi, facciamola finita che questa attesa mi snerva. Pur sapendo che gli esami in realtà non finiranno mai. Che dopo saremo noi stessi a cercarne altri.
E sempre nella speranza, parlo da esaminatore, non di "tagliare le ali" al candidato, ma di vedergliele sbocciare, magari con sua stessa sorpresa e timore, e di vederlo finalmente in volo, libero e indipendente.
Perché se è bello sentirsi al sicuro "a casa" è anche bello uscirne e volare assieme.
E anche lasciare che le fresche energie di chi ha appena imparato a utilizzare le proprie ali lo portino là dove a noi è precluso.
Tanto non c'è niente da guadagnare o da perdere in tutto questo gioco: è solamente "ffinta ddi gguerra".