Kyosaku

Il bastone del pellegrino

Periodicamente si torna a parlare qua e là di esami, gradi, riconoscimenti. E quasi ogni volta qualcuno chiede cosa ne pensi io. Ma non trovo giusto limitarsi a dichiarare cosa si pensa di quanto pensano altri. Fermo restando il diritto e qualche volta dovere di critica, credo lo si possa eventualmente esercitare, con parsimonia, solamente dopo avere manifestato il proprio pensiero, accettando a propria volta esplicitamente di essere sottoposto da altri a commenti, considerazioni, critiche e se ritenuto opportuno attacchi. Ma il diritto di critica dovrebbe comunque rimanere uno strumento da utilizzare soprattutto su se stessi. Parlerò quindi solamente della mia personale concezione dell'esame.

 

 

 

 

 

 

 

 

In realtà l'immagine a lato, una stampa di Yoshitoshi, artista molto attivo in epoca Meiji e autore di numerose  raffigurazioni di eroi e leggende del Giappone, raffigura il monaco guerriero Hozoin Inei (1521–1607), armato della sua lancia ed intento ad osservare il riflesso della luna in uno stagno.

Notiamo che si tratta di una lancia da allenamento, termina con un tampone e non con una punta di acciaio, e che assieme alla falce della luna nel cielo, opportunamente collocata dall'artista, richiama all'aspetto la lancia del tipo jumonji.

La scena raffigura infatti l'intuizione di Inei: osservata attentamente l'immagine riflessa nello stagno, ideò secondo la leggenda una lancia munita di bracci trasversali utile sia per disarcionare i cavalieri durante le battaglie che in combattimenti uomo contro uomo.

Non è quindi la raffigurazione di un pellegrino che si appoggia al suo bastone. 

Ma qui parleremo appunto di pellegrini e di pellegrinaggi.

Quello infatti che ogni praticante di aikido ha deciso di affrontare è un cammino, un percorso, una via.

Non necessariamente un pellegrinaggio. Ma quando l'impegno è costante nel tempo ed i progressi divengono tangibili, possiamo dire che necessariamente lo diventi. Chiunque abbia ambizioni di percorrere un lungo tratto di strada deve allontanarsi da casa, deve diventare un pellegrino.

E quando si fermasse, cessando il suo peregrinare, si fermerebbero con lui i suoi progressi.

 

 

Esistono, e sono normalmente quelli che passano alla storia o perlomeno fanno parlare a lungo di se, dei pellegrini che sentono la necessità di mettersi in cammino prima ancora di avere la piena consapevolezza di quanto stiano cercando. Ed inevitabilmente nemmeno conoscono quale sia il percorso migliore, talvolta l'unico percorso, per arrivare alla meta. Di più: spesso non hanno nemmeno una idea precisa della loro meta.

E' inevitabile che questi viaggiatori siano rari nantes in un oceano di esseri umani bisognosi piuttosto di una guida. Di un percorso ben segnato; scandito da tappe precise, da conferme puntuali dell'essere sulla retta via, o perlomeno su una via che li sta avvicinando alla meta. Ogni essere umano è un pellegrino in viaggio

Rispondono all'esigenza di fornire punti di orientamento varie forme di pellegrinaggi istituzionalizzati, in quanto l'essere umano sa essere asociale ma non può vivere al di fuori di una società. Essendo io romano è naturale che mi venga in mente come esempio il classico pellegrinaggio a Roma. Veniva deciso e comunicato con largo anticipo, quindi era possibile programmarlo per tempo provvedendo sia alle necessità materiali che alla altrettanto necessaria preparazione mentale. Inizialmente previsto ogni 100 anni, gradualmente arrivò alla frequenza attuale: ogni 25 anni la Chiesa Cattolica indice ed organizza un Giubileo. Un viaggio verso a Roma alla ricerca di se.

Il viaggio si snoda lungo percorsi che si cerca di rendere certi e sicuri. Il più noto percorso è la Romea, la strada che percorrevano i pellegrini provenienti dal nord. Uno dei tanti possibili esempi di percorso previsto ed attrezzato per raggiungere in tempi prevedibili, attraverso una serie di tappe, una meta ben nota ove compiere delle azioni conosciute da tempo.

E' evidente che tali cammini programmati, non solo accettati ma anche richiesti dal viaggiatore, hanno delle affinità col percorso didattico che guida il praticante di aikido, attraverso il raggiungimento di tappe o fasi conosciute in anticipo e ben collocabili nel programma di studio. Il superamento del percorso permette al pellegrino, che sia un religioso od un guerriero, di acquisire dei meriti oggettivi.

E' necessario, secondo lo scrivente, fermarsi qui. Il superamento del percorso non permette alcuna valutazione sui meriti soggettivi.

La certificazione rilasciata al pellegrino recatosi a Roma nell'anno del Giubileo per assolvere a quanto previsto dal protocollo giubilare, garantisce che quella persona sia stata nella sua vita giusta e meritevole, prescindendo dal suo comportamento materiale e dalle sue motivazioni interiori?

La logica ci porterebbe già a concludere per un no. Ma nemmeno la chiesa cattolica sostiene che la partecipazione ad un Giubileo renda migliori. Si limita a concedere indulgenza, sia parziale che plenaria (totale) nei confronti di chi ha sbagliato. Non certifica che il percorso di vita sia stato giusto e la persona sia arrivata a compiere quanto aveva dovere di compiere. Certifica il suo percorso materiale, garantendogl come ricompensa indulgenza verso i suoi errori. Non garantisce nemmeno per lo spazio di un minuto da ogni errore futuro e dalla necessità di pagarne il prezzo.

Ecco quindi come considero la prova di esame cui si sottopone periodicamente il praticante di aikido: un pellegrinaggio. Richiesto e voluto, come tutti i pellegrinaggi, dal pellegrino stesso.

L'apparente oggettività del pellegrinaggio, l'attribuzione automatica di indulgenze o ricompense per chi ha percorso quel tratto di strada, non regge però ad analisi più meditate.

In realtà  va soppesato anche, ove possibile, l'atteggiamento interiore della persona che abbia assolto doveri materiali apparentemente oggettivi e certificabili. Nel corso del Giubileo dell'anno 2000 io stesso mi sono recato in visita alle Sette chiese, ma per soddisfare una mia esigenza culturale e come segno di rispetto verso una tradizione che non sento comunque mia. Per quale ragione dovrei essere degno di indulgenza?

Certamente l'autorità competente non può valutare sistematicamente gli atteggiamenti interiori, e richiedendolo avrei certamente ottenuto il certificato previsto. Ma qualcuno pensa che quel certificato potrebbe avere qualche valenza il giorno del Giudizio?

Esistono vari indizi che contribuiscono a ricostruire una immagine più realistica del pellegrino. Chi si fosse recato a Roma nell'anno Giubilare segnalandosi però per avere frequentato le bettole oltre che le sacrestie non avrebbe potuto ottenere un giudizio positivo. Ugualmente l'esaminatore di aikido dovrebbe valutare negativamente il comportamento di un esaminando tecnicamente e fisicamente ben preparato ma che mostri un comportamento arrogante o negligente verso i suoi compagni di pratica e di esame.

E' una discrezionalità di cui occorre fare un uso estremamente cauto. Nel dubbio, forse le minori probabilità di sbagliare si hanno rilasciando il desiato foglio di carta. Ormai lo sappiamo: non servirà a molto il giorno del Giudizio.

Nel caso che non sia possibile dare un giudizio positivo, e ogni esaminatore che faccia con coscienza il suo lavoro sa quanto sia difficile e sofferto respingere chi ti ha dato la sua fiducia, abbiamo un debito verso quella persona. Non è lecito pensare di aver compiuto fino in fondo il proprio dovere semplicemente informando il candidato che ha seguito una strada da noi giudicata sbagliata o quantomeno insufficiente. Abbiamo il sacrosanto dovere di indicargli la strada giusta, di assisterlo nei suoi passi, di vederlo superare con successo l'ostacolo che prima lo aveva respinto.

Basta: nessun sistema pensato ed attuato dall'essere umano è perfetto, constatiamo serenamente che non lo siamo nemmeno noi critici. Tantomeno noi, esaminatori o esaminati. Accettiamo quindi anche i Giubilei, accettiamo i programmi di esami, accettiamo i gradi o le negazioni dei gradi. Ricordi soprattutto, chi ha superato un esame, che ogni superamento di una prova è  un merito, indiscutibile. Ma che non assicura nulla nel futuro. Sarà un utile punto di riferimento, una asettica testimonianza del percorso già fatto, una trasparente e doverosa ma ancora insufficiente esposizione del proprio progetto di vita, a beneficio degli altri.

Presentando un nostro certificato, dimostrando la nostra capacità di ricerca e il nostro grado di preparazione tecnica, non abbiamo ancora dato tuttavia alcuna risposta alla domanda fondamentale che si pone ogni essere umano quando ne incontra un altro: "Chi sei tu? E dove vai?"

Vorrei concludere ritornando brevemente su quanto solo accennato prima. Acquista un merito chi si reca in pellegrinaggio al momento che viene indetto il Giubileo. Ossia nel momento più facile, più ovvio, scontato, banale. Difficilmente questi sistemi, abbiamo già detto che non sono perfetti, riconoscono le stesse indulgenze a chi si reca in pellegrinaggio in altro momento, quando ne sente l'urgenza e la giustezza, senza nulla volere in cambio. O per chi addirittura ha fatto della sua vita un costante e coerente pellegrinaggio..

Ma queste persone se hanno scelto coscientemente la via più difficile e hanno rinunciato ad ogni punto di riferimento, sono sicuramente più determinate e probabilmente non hanno bisogno di certificati e non li ricercano. Per gli altri, praticamente tutti, ci sono i Giubilei, i programmi e le sessioni di esame. 

 

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