Kyosaku
Calendari, gatti e altro ancora. E perfino aikido...
Scritto diversi anni fa, rileggendolo a bocce ferme questo articolo si è dimostrato ancora attuale. Anzi, forse, a maggior ragione. La generalizzazione delle ricerche on line, che ormai si fanno pure sul tram per sapere a quale fermata scendere, tende a dar loro l'attendibilità di un oracolo. Attenzione però; è relativamente facile scoprire se per andare al Colosseo dobbiamo andare a destra o a sinistra, esplorare fatti e misfatti del genere umano non è altrettanto semplice. Forse però è più divertente. A volte addirittura più proficuo.
Lo spunto per questa ricerchetta nacque dalla amica Gianna Alice recatasi in visita alla città natale del maestro Ueshiba Morihei fondatore dell'aikido, che tutti sanno essere nato a Tanabe.
Soltanto dopo essere scesa dal treno comprese però che doveva invece andare da un’altra parte.
E’ a Kii Tanabe che sorge ora il monumento a Ueshiba Morihei inaugurato nel 1988. Si trova a Kii Tanabe la sua tomba, a Kii Tanabe sono depositati alcuni suoi cimeli. Lo possiamo vedere da questo pieghevole, reliquia di uno appunto di quei viaggi dell'instancabile Gianna.
Per la precisione: Tanabe non esisteva nemmeno nel 1883 quando nacque Ueshiba Morihei: è stata fondata nel 1942.
Ma Ueshiba non nacque neppure - a voler essere precisi - a Kii Tanabe: la pubblicazione commemorativa de centenario della sua nascita, edita nel 1983 dallo Zaidan Hojin Aikikai di Tokyo, riporta una foto aerea della baia di Egawa dove sorgeva il suo villaggio natio, senza nome ma dipendente amministrativamente da Kii Tanabe.
Sorgeva: sappiamo infatti dalla stessa pubblicazione che tornatovi in età matura Ueshiba Morihei scoprì che già nulla rimaneva dei luoghi della sua infanzia, eccezione fatta per il tempietto vicino casa ove si recava tutti i giorni quando era bambino.
Ovviamente la baia esiste ancora.
Una rapida ricerca su Google maps ha permesso di identificarla con sicurezza.
Ma sarebbe vano ricercarvi quanto esistito in epoca Meiji: passando dalla visione mappa a quella satellitare ci rendiamo conto che esiste ancora il tempio shinto e possiamo addirittura vederne le foto.
Ma la baia è occupata ora da un resort turistico
Intorno il panorama non è molto differente da quello di altre città balneari come le nostre Rimini, Riccione, Ostia.
Mal comune mezzo gaudio. Incaricato delle ricerche geografiche per l'articolo originale (Aikido, anno 2007, p. 49) il vostro scrittore, Bottoni, inveterato divagatore, ricordò di quando i suoceri - tedeschi - gli chiesero di mostrar loro la casa dei consuoceri in Roma, vicino alla basilica di San Paolo. Una cartina rapidamente reperita sembrava poter risolvere il problema, lo gettò invece nello sconforto. La carta era ovviamente ad usum germanicum e a “a volo d’uccello”: mostrava la città eterna come avrebbe potuto apparire ad un piccione viaggiatore proveniente dalla Germania intorno al 1950, epoca di Giubileo.
Pur sapendo il prevenuto (Bottoni) leggere correntemente ogni tipo di carta topografica, quindi avere il sud ove normalmente si trova il nord non gli creava troppo impaccio, la carta era assolutamente fuorviante: la città vi si fermava ancora nel cerchio delle mura Aureliane e la zona che interessava, ora semicentrale, era deformata dal gioco prospettico e veniva raffigurata come aperta campagna senza alcun punto di riferimento oltre la basilica di San Paolo fuori le Mura, cattedrale nel deserto e ingigantita per evidenziarla (è una delle 7 chiese romane che si devono visitare durante il Giubileo).
Il tutto, già deformato dal desiderio lecito ma periglioso di facilitare la comprensione celando informazioni inutili ed esaltando invece quelle utili, era congelato in quel determinato momento storico; inevitabile, ma ogni fermo immagine ovviamente non può rendere conto del futuro e diventerà sempre meno leggibile col trascorrere del tempo (e quello trascorre, date retta a me). E non tiene conto nemmeno del passato. Che la sua importanza ce l'ha.
La basilica di San Paolo non sorgeva in Roma: era la roccaforte di una città fortificata di nome Giovannipoli, collegata a Roma da un porticato di 3 km che partiva dalla porta Ostiensis, distrutto durante una incursione dei saraceni. I resti della fortezza vennero invece demoliti dopo l’incendio che rase al suolo la basilica nel 1823 e nulla ne resta da allora.
Era ormai tramontato il pericolo dei saraceni anche se a Roma ancora si tramanda il detto mamma li turchi!. La città raggiunse la basilica e iniziò a sorpassarla solo negli anni 50 del secolo passato.
Insomma: se è difficile conservare dopo alcuni decenni anche la memoria delle cose di casa nostra, figuriamoci indagare dall’altra parte del mondo a distanza di secoli. E non solo sulle collocazioni geografiche.
Anche la data di nascita di Ueshiba Morihei infatti, se pure universalmente si accetta il 14 dicembre 1883, in realtà non è nota con sicurezza. Non possiamo purtroppo essere più precisi, una alluvione (ci mancavano solo quelle) ha distrutto anni fa la relativa documentazione in possesso di Gianna Alice. Come molti sanno il calendario giapponese non corrisponde col nostro, e ci sono per giunta diversi problemi di conversione tra i vari sistemi. Ma la ciliegina sulla torta viene dalla notizia che non esiste “il”calendario giapponese.
Ne sono esistiti molti col trascorrere dei secoli. Con ovvi periodi di confusione ad ogni momento di passaggio, uno dei quali è di poco precedente alla nascita di Ueshiba Morihei: il calendario dinastico giapponese, in realtà ancora in uso in alcuni casi (chi ritirerà questanno un diploma di aikido dell’Honbu Dojo ci troverà la data del 30° anno dell’era Heisei) nel 1873 venne sostituito da quello gregoriano che utilizziamo anche noi. Ma sembra che le ultime resistenze furono vinte solo molti anni dopo, con spericolato salto nei calendari ufficiali. Passarono in Giappone dal 19 dicembre 1918 al 1. gennaio 1919 e in Cina dal 19 dicembre 1928 al 1. gennaio 1929. Alcuni ricercatori hanno quindi ipotizzato che la vera data di nascita del fondatore dell'aikido vada collocata approssimativamente verso la terza settimana di novembre.
Se ogni aggiustamento del calendario manda in confusione le autorità centrali a maggior ragione causa ritardi, resistenze ed errori anche presso le anagrafi locali. Che – va detto per completare il quadro – non necessariamente nel Giappone della prima epoca Meij (che va dal 1868 al 1912) utilizzavano il calendario dinastico ufficiale.
Potevano continuare ad utilizzare, per disinformazione, per pigrizia o per spirito di contraddizione, uno dei tanti altri calendari, quello zodiacale di derivazione cinese e di tipo “lunisolare”, quello dinastico (Nengo), quello che contava gli anni a partire dal regno di un leggendario imperatore (Jimmu).
Ma aggiungendovi sovente ulteriori anomalie per allinearsi alle usanze del luogo.
Secondo il sistema cinese classico il calendario è strutturato in cicli di 12 anni: nel 2018 ci troviamo nell’Anno del Cane, come nel 1994 e nel 2006 e nel 2019 ci ritroveremo nell'Anno del Maiale come nel 1995 e nel 2007. Ma gli anni cinesi sono di durata variabile e non iniziano mai esattamente il 1 gennaio nè finiscono esattamente il 31 dicembre. Quindi sapendo che una persona è nata nel quinto giorno del primo mese del penultimo anno del maiale sappiamo con certezza che non corrisponde a rigore al 5 gennaio 2007. Ma nulla più. In realtà non è esattamente così tragico, in quanto il nostro calendario gregoriano è ormai di uso universale. Ma solo ai fini pratici. Tutti avranno visto prima o poi le celebrazioni di un capodanno cinese, che cade in periodi dell'anno per la maggior parte di noi insospettabili.
C’è stato quindi chi ha accusato i giapponesi e gli orientali in genere di volerci per l’ennesima volta complicare la vita con i loro bizantinismi. Non si sa se concordare, probabilmente no. Sappiamo essere complicati anche noi.
Passiamo a un caso italiano di ribellione all’anagrafe rimasto generalmente inosservato: quello dello scrittore sardo Gavino Ledda, legato indissolubilmente alle sue radici anche se con quel rapporto tormentato magistralmente descritto nelle pagine di “Padre padrone”, edito da Feltrinelli nel 1975. Ebbe un figlio agli inizi degli anni 90 ma il parto fu difficile, ed il bambino morì all’ospedale dove aveva visto la luce, dopo poche ore di vita.
Ledda dovette ugualmente sobbarcarsi nonostante la tragedia al tormento delle formalità anagrafiche, ma quando scoprì che la breve apparizione del figlio su questa terra non sarebbe stata registrata a Siligo, il paese dove i Ledda nascevano e morivano da secoli, ma nel comune nel cui territorio era casualmente ubicato l’ospedale, ebbe un atto di ribellione. Si rifiutò. Il suo gesto era assolutamente inutile ed ininfluente, e forse proprio per questo ancora più bello.
Le norme prevedono una segnalazione dell'omessa registrazione alla procura della Repubblica: Ledda si rifiutò anche di fronte al magistrato di registrare la nascita se non a Siligo, volle andare sotto processo. E molti sperarono in una sua condanna perché sicuri che fosse questo che lui voleva: bere fino in fondo il suo amaro calice per dimostrare e gridare al mondo l’ingiustizia della legge. E provocarne magari l'abrogazione. Ma l’esito finale della vicenda non riscosse più l’interesse dei media e non ne abbiamo notizia.
Di Ledda, pastore a 6 anni e analfabeta fino a 20 quando iniziò a studiare, laureato poi in glottologia e Accademico della Crusca, so che si trova in disagiate condizioni economiche e vive grazie a un vitalizio istituito dalla cosidetta legge "Bacchelli", nata per assistere aritsti di chiara fama privi di risorse economiche. Deve presentare una dichiarazione di esistenza in vita ogni mese (e io mi lamento perché mi tocca ogni 2 anni!) e leggo su wikipedia che ha così commentato.
«Devo presentare un "certificato di esistenza in vita". Per di più mi mandano questa lettera il 5 maggio, il giorno della morte di Napoleone. Ma io l’Ei fu manzoniano l´indirizzo verso qualcuno diverso da me. Anzi, a 72 anni, mi aspetto di arrivare sino a 99 [...] Ho sempre considerato quanto percepisco come un premio per il mio lavoro. Lavoro che continuo e continuerò a svolgere. Certo, se avessi i soldi, avrei risposto "sono morto"»
Vi è concesso di tifare per lui, ha buone possibilità di arrivarci: il padre, il padre-padrone del libro, visse appunto fino a 99 anni. Ma torniamo sul pezzo...
Il solito Bottoni (ah, sono io? e chi se ne ricordava...) si sovviene ancora di aver dovuto effettuare anni fa una ricerca anagrafica su una materia a lui ben più vicina e familiare, e precisamente sul suo nonno materno. Chi avesse voluto all'epoca ricercare notizie on line - e già il sistema principe era quello - ne avrebbe trovate alcune presso il sito internet dei cimiteri romani. Ora non è più possibile: per ragioni di privacy....
E avrebbe pubblicato trionfalmente la data della sua morte, l’8 febbraio 1966 (l'insolito Bottoni non è che non ci tenga alla privacy: se la gestisce da solo). Se la persona scomparsa fosse stata un musicista magari un ricercatore avrebbe potuto ragionevolmente sviluppare la tesi di una sua ispirazione dalla musica dei Beatles, complesso musicale nato nel 1960. In realtà, ma noi non siamo una fonte ufficiale e non facciamo testo, l’ignota ditta che ha avuto in appalto l’informatizzazione dell’anagrafe cimiteriale ha preso fischi per fiaschi: quella è la data della traslazione della salma dopo il periodo di legge di 10 anni: la persona scomparve il 16 aprile del 1956, e se veramente ci fossero state affinità tra le sue immaginarie composizioni e quelle dei Beatles, sarebbero stati casomai questi ultimi a trovare ispirazione da lui e non il contrario.
Ma si ricordi che il testimone diretto (il solito Bottoni), che affacciato alla finestra vide con i suoi occhi la salma del nonno uscire dalla casa, non fa ufficialmente testo: sono ormai i pezzi di carta a prevalere sulla trasmissione diretta della conoscenza. Carta canta e villan dorme: i documenti certificano l'8 febbraio 1966, tanto vi basti.
Un caso limite? Può darsi. Ma nessuna, veramente nessuna, data di nascita o di morte, certificata o no, sarebbe sicura se registrata in Italia ai tempi di papa Gregorio XIII. Per aggiustare il ritardo fisiologico del calendario giuliano sua santità passò di colpo dal 5 al 15 ottobre 1582. E che dire della Svezia del XVIII secolo che decise di recuperare il ritardo del calendario giuliano gradualmente, dal 1700 al 1740? Ma per una dimenticanza o distrazione dovette fare il clamoroso aggiustamento di introdurre il 30 febbraio 1712 (e non vorremmo essere nei panni di chi è nato in quel giorno, ma per fortuna dovrebbe avere smesso di soffrire da un pezzo).
Ha un senso tutto questo sproloquio? Forse sì, e qui torniamo a bomba, e alla clamorosa rivelazione finale che si riallaccia all'inizio. Perché gli osservatori attenti avranno già notato che la data della morte dell’avo di Paolo Bottoni il solito (16 aprile 1956) è pericolosamente vicina a quella di Ueshiba Morihei (26 aprile 1969), anche se in anni diversi.
Forse perfino ai lettori oltre che attenti anche scrupolosi e documentati potrebbe sfuggire un'altra informazione. Ma ci segnala l’immancabile Bottoni (attento, scrupoloso, documentato... ma soprattutto paranoico) l’inquietante coincidenza con una poesia dello scrittore romano Trilussa (Carlo Alberto Salustri all’anagrafe, e ormai avrete capito che l’anagrafe serve solo a complicarci la vita); a memoria inizia così:
Un anno fa, li ventisei d’aprile
Un gatto nero fu trovato morto
Coll’occhi spalancati e il grugno storto
Accanto alla fontana del cortile
Lasciamo ai lettori il piacere di continuare la ricerca e scoprire che in realtà, pur essendo scrupolosamente esatta la data della morte del gatto nero, dietro si celino sconvolgenti verità che Trilussa ci svelerà; in gran confidenza. La verità raramente è quella che appare a prima vista.
La morale della favola? Attenti con le ricerche... Trovare qualcosa non è difficile, anzi qualcosa la si trova sempre. Ma raramente è quello che ci aspettavamo di trovare, e la notizia va sempre letta con occhi disincantati, obiettivi e, consentitecelo, scettici. E va – sempre - scrupolosamente verificata. Se i semafori rossi non sono Dio, come cantava un complesso rock tanti anni fa (a voi la ricerca), e i certificati anagrafici neppure, figuriamoci le frettolose ricerchine fatte su internet.
A quel punto tanto vale rimanere sul tatami a sudare, cadere, rialzarsi e poi ricadere. Come disse un grande maestro, Eduardo De Filippo, "è sempre meglio che lavorare".