Cronache

2014. Non s'era mai visto...

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Non si era mai visto nè sentito che la cronaca di un seminario fosse scritta da uno degli insegnanti piuttosto che da uno dei seminaristi. Ma basterà proseguire nella lettura per vedere/sentire quanto non si era mai sentito prima.

 

 

 

 

 

 

 

Non è facile nella cronaca di un seminario rendere il senso di quanto si è studiato.

Per questo i migliori resoconti sono - a parer mio - soprattutto quelli in cui si cerca di esprimere le proprie sensazioni, in cui riecheggia l'atmosfera che si respirava durante il seminario. Le disamine tecniche invece lasciano troppo spesso, ma non è colpa di nessuno, il tempo che trovano.

Nemmeno ora vorrei tentare qualcosa del genere, ma forse proporre una tantum quanto è rimasto nella mente non di chi ha partecipato per apprendere ma di chi ha organizzato ed è intervenuto per fornire il materiale di studio, potrebbe essere utile.

Non verrà mai ripetuto abbastanza che solamente la partecipazione ad un seminario permette di comprenderne il senso, a nulla valendo per questo scopo le descrizioni, le foto e meno che mai gli estratti video che possono - sempre a mio parere - casomai  fuorviare ma raramente indirizzare sulla giusta strada.

Mi aiuto con un esempio: quando mi trovo dall'altra parte della macchina fotografica mi accade a volte di fotografare quanto non andrebbe pubblicato se non da parte di chi non solo ha assistito ma ha anche compreso quanto accadeva, lo ha memorizzato ed è in grado di pubblicarlo nel giusto contesto. Aggiungo che i grandi maestri non mancano mai di notare questi scatti potenzialmente inopportuni, inviando all'incauto o temerario operatore brevissimi inequivocabili segnali (o quando non lo conoscono o non hanno ragione di fidarsene espliciti e vistosi avvertimenti).

Questa foto (seminario di Lauria, 1 marzo) ne è un classico esempio: molti la classificheranno come "esempio di ashisabaki per evitare un colpo fendente (shomenuchi)". In realtà se vogliamo classificarla esattamente dovremmo dire "esempio di errato ashisabaki ecc. ecc.".

Infatti qui sto mostrando non la corretta manovra di evasione ma uno degli errori più frequenti e più pericolosi che ora evidenzio per evitare che la foto, passando disinvoltamente di sito in sito, diventi una cosa diversa da quella che deve essere.

Anche questa seconda foto (sempre Lauria, 1 marzo)  non è quello che potrebbe sembrare. Qui stiamo studiando le ragioni che spingono uke ad una presa gyakuhanmi: la presenza del tanto ne mette in luce immediatamente ed inequivocabilmente le ragioni, meglio di ogni lunga pedante spiegazione.

Uke viene indotto ad afferrare gyakuhanmi dall'atteggiamento di tori, e se i segnali che questi invia sono sufficientemente chiari, e la presenza del tanto li esplicita,  non esistono possibilità alternative: uke dovrà eseguire quella presa.

Ed abbiamo anche una banale ma interessante dimostrazione di quanto Tada sensei non manca mai di raccomandare - al suo immenso livello - ad ogni suo seminario: non limitarsi a reagire ad circostanze avverse o ad attacchi dall'esterno, mantenere sempre un atteggiamento positivo, non dipendente da avvenimenti esterni e che piuttosto li condizioni.

Sempre al Dojo di Lauria  alcuni avendo appena scorso le pagine della rivista Aikido dell'Aikikai d'Italia, hanno ipotizzato che stessi riprendendo le tecniche mostrate da Tada sensei nel suo seminario d'autunno, ed in modo specifico quella riportata sulla copertina della rivista.

Sì e no. Difficilmente dimentico una mia foto, anche se sono tante e alcune molto lontane nel tempo. Quindi ho notato subito quanto segue.

Si riferivano in particolare a questa tecnica di tachi dori (alla lettera difesa da attacco di spada ma gli scopi per cui effettuiamo questi studi sono per noi diversi).

Va da se che seguo le impostazioni e l'insegnamento provenienti dagli organi didattici della mia associazione, ma ovviamente adattandoli alle mie capacità e alle mie peculiarità, e talvolta adattandoli nel modo che ritengo più opportuno alla platea di praticanti, anche inserendo quanto sopra in contesti differenti pur tuttavia miranti ai medesimi obiettivi.

Di conseguenza non è possibile interpretare sempre tutto quanto proposto in chiave univoca, ma questo equivoco si presta a considerazioni non banali.

 

 

Non farò il torto ai lettori praticanti di aikido di pensare che non siano in grado di identifcare nella tecnica che sto mostrando sopra il banale nonché elementare principio conosciuto come katatetori aihanmi tenkan ikkyo (o anche altro, ma oggi non complichiamoci la vita).

E' materia da esame di 6. kyu, come tutti sanno l'abc dell'aikido (ma anche lo xyz, però non ci dilungheremo adesso su questo).

Passando ad esaminare la tecnica proposta nella mia foto in copertina di Aikido 2014 spero tutti converranno che si tratta invece di katatetori gyakuhanmi sankyo. Una cosa diversa.

Per quanto la tecnica sia diversa, e pur tenendo conto della dinamicità di movimento di Tada sensei (innata...) e della staticità del momento in cui io invece mi fermo per invitare ad osservare qualcosa che potrebbe sfuggire, dovrebbe essere palese che ci sono delle analogie nelle due diverse esecuzioni di due diverse tecniche, per esempio il lato di uscita e la modalità di uscita.

Di più: che entrambe sono contemporaneamente possibili nelle due casistiche proposte dalle foto: è ossia possibile nel caso di una presa od un attacco a due mani utilizzare indifferentemente, sull'uno o sull'altro lato, sia il principio aihanmi che quello gyakuhanmi

Ma c'è forse qualcosa di ancora più importante da afferrrare: che durante lo studio e la pratica non dobbiamo concentrarci prevalentemente sulla materialità della tecnica, nella sua identificazione come ikkyo nikyo o sankyo.

Dobbiamo comprenderne i principi e farli nostri con un processo di assimilazione attraverso la pelle, che rimanda le analisi e le riflessioni a momenti diversi.

 


 

 

Devo naturalmente, prima di andare avanti nella mia non-cronaca, ringraziare gli organizzatori di questi seminari e gli insegnanti che mi hanno accompagnato in altrettanti viaggi all'esplorazione dell'aikido, augurandomi di poter presto riportare le loro impressioni, sensazioni, ricordi; come io ora sto riportando i miei.

Grazie dunque a Fiordineve Cozzi, Nunzio Sabatino e Danilo Manodoro.

La foto a lato si riferisce al seminario presso l'Aikikai Caserta, tenuto assieme al maestro Nunzio Sabatino (al centro).

 

 

 

 

 

Ma la vera novità è stato l'abbinamento di ogni seminario ad una conferenza tematica. Non novità assoluta beninteso, ad esempio Fabrizio Ruta già da tempo arricchisce ogni tanto i suoi seminari con interessanti conferenze (trovate qui nel sito del suo dojo, lo Shin bu di Bari, alcuni suoi articoli nonché la biografia)..

Anche io del resto mi sono lasciato andare in passato a questa tentazione, ma in modo meno sistematico e non nel corso di miei seminari.

Ora si cambia.E' un preciso dovere di chi ha ricevuto un insegnamento di trasmetterlo a quanti verranno dopo di lui, con l'obiettivo di vedersi ben presto superato da chi potrà continuare il cammino da là dove noi saremo riusciti a portarli. Nella foto, l'immagine di presentazione della conferenza sulla storia del nihontô, la leggendaria spada giapponese, tenuta nel mese di gennaio in occasione del seminario presso il Dojo Musubi di Roma.

Personalmente sarei felice di poter continuare su questa strada, visto l'interesse manifestato dai praticanti anche verso ogni impulso all'arricchimento culturale.

Il corsivo è dovuto alla mia moderata conoscenza di molti degli argomenti proposti e proponibili, che comunque spesso non vengono affrontati se non da pochi, non per disinteresse ma per mancanza di una qualsivoglia proposta, anche limitata al livello divulgativo.

I temi finora affrontati sono sempre stati come logico legati al mondo delle arti marziali, sia direttamente che indirettamente (la foto mostra una delle immagini utilizzate per la conferenza sulla storia e cultura samurai tenuta presso l'Aikikai Caserta). E' necessario infatti affrontare le ricerche che i nostri maestri ci hanno indicato per avere una idea precisa della nostra missione.

Entra qui in gioco un discorso delicato, che ho tuttavia il dovere di affrontare: ho la sensazione che alcuni discepoli di grandi maestri pratichino con lodevole impegno e grande costanza ma rischino talvolta di non focalizzare altrettanto bene la metodologia di lavoro che è stata loro richiesta.

 

 

Prevale a volte l'opinione che sia necessario e sufficiente seguire un grande maestro per arrivare a superare i propri limiti. E' senzaltro vera la prima parte della proposizione: è necessario seguire grandi esempi. Non sono altrettanto concorde con la seconda parte: che sia sufficiente.

Ribaltando con deliberata provocazione quanto detto prima, io ritengo necessario superare i propri limiti prima di poter seguire un grande maestro. Del resto sono loro stessi a rendercelo manifesto, proponendoci dei percorsi idonei a compiere i passi necessari.

Detto questo, è evidente che nelle mie discussioni - affiancate o no a seminari di pratica - esporrò quanto venuto a mia conoscenza nel corso delle ricerche che mi sono state prescritte dai miei maestri di riferimento.

 

 

Ho detto, ma si trattava dell'ennesima provocazione, che una cosa del genere non s'era mai sentita.

Naturalmente non è vero: chi non è più giovane ricorderà come i leggendari seminari dell'epoca eroica dell'aikido italiano fossero ricchi di iniziative culturali, e ad esporre le loro conoscenze erano personaggi del calibro del maestro Kitaura Yasunari (professore di storia dell'arte all'Università di Madrid), per tacere dello stesso Tada Hiroshi sensei, che ancora periodicamente ci arricchisce attingendo alle sue profonde conoscenze del mondo marziale e tradizionale del Giappone.

Meno conosciute, preferiva tenerle a pochi intimi anche perché i tempi non erano sicuramente maturi per una diffusione maggiore, le conferenze del maestro Hosokawa Hideki, regolarmente munito di lavagna e gessetto.

Ma ora, seguendo il loro esempio e le loro indicazioni, deve toccare anche a noi. Senza presunzione, misurando il passo a misura delle nostre gambe, ma abbiamo il dovere di andare avanti.

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